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Normativa sull'Arbitrato

L’arbitrato si può definire, in estrema sintesi, come un giudizio privato che si realizza tramite un processo al di fuori di un aula del Tribunale. L’arbitrato è infatti quella procedura secondo cui le parti si accordano per  sottoporre la propria controversia a un terzo (o più soggetti) che svolga la funzione di arbitro imparziale e che emetta, alla fine del procedimento, una decisione (c.d. lodo).

L’arbitrato si fonda su uno specifico atto di compromesso, che può essere sottoscritto prima o dopo l’insorgenza della lite, o su una clausola compromissoria inserita nel contratto a cui la controversia si riferisce. Rispetto a un giudizio avanti al Tribunale, l’arbitrato risulta essere un procedimento spesso meno formalizzato e sicuramente più rapido. I costi possono essere elevati, controbilanciati da un risparmio di tempo.

Tipologie di arbitrati

Gli arbitrati possono essere:

  • amministrati”, da parte di un ampio numero di organizzazioni o enti, privati o pubblici, che conducono le procedure secondo regole proprie
  • ad hoc”, qualora siano gestiti direttamente dalle parti che stabiliscono le modalità di nomina degli arbitri, il loro numero, le regole procedurali

L’arbitrato può distinguersi anche in rituale o irrituale (o libero). L’arbitrato rituale è quello che segue le previsioni del codice di procedura civile e risolve la controversia con un lodo finale. L’arbitrato irrituale non è legato a obblighi procedurali (saranno le parti o gli arbitri stessi a darsi determinate regole organizzative e procedurali) e il suo esito è valutabile alla stregua di un contratto.
L’arbitrato, infine, si può distinguere in arbitrato secondo diritto e secondo equità. In entrambi i casi la decisione deve tendere alla giustizia, ma nel primo caso il parametro in base al quale misurarla è la legge, nel secondo è l’equità del caso concreto.

Il decreto n. 40 del 2006

Il decreto legislativo del 2 febbraio 2006, n. 40, entrato in vigore il 1° marzo 2006, ha novellato l’istituto dell’arbitrato introducendo importanti modifiche, riconducibili alla volontà di ampliare gli spazi applicativi dell’arbitrato. Di seguito descriveremo le modifiche di maggior rilievo, anche da un punto di vista pratico.

La prima modifica importante è quella che ha nuovamente determinato il campo d’azione dell’istituto. Il previdente art. 806 c.p.c. prevedeva l’esclusione tra le materie arbitrabili di tutte le controversie “che non possono formare oggetto di transazione”. Questa norma aveva aperto numerose discussioni, soprattutto perché nascevano problemi interpretativi circa il fatto della limitata validità della transazione su titolo nullo per illiceità (art. 1972 c.c.), da qui si argomentava circa l’inammissibilità dell’arbitrato in relazione a tutte le controversie che coinvolgessero l’applicazione di norme imperative.

Con il novellato art. 806 c.p.c. si è previsto che “le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. Le controversie di cui all’articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”. 
Si è quindi chiarito come la natura imperativa delle norme che si devono applicare non esclude la possibilità di dedurre i diritti in contesa disponibili. Rispetto a questo la giurisprudenza, in maniera uniforme, afferma che l’indisponibilità di un diritto “non va confusa con l’inderogabilità della normativa applicabile al rapporto giuridico, la quale non impedisce la compromissione in arbitrato, con il quale si potrà accertare la violazione di norma imperativa, senza determinare con il lodo effetti vietati dalla legg” (Cass., 27 febbraio 2004, n. 3975).

Nell’Unione Europea, con la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Eco Swiss c. Benetton (1° giugno 1999, C-126/97), si è prevista la possibilità di arbitrato anche sulle controversie in materia di antitrust, a condizione che vi sia la possibilità di censurare in sede giurisdizionale la mancata od erronea applicazione di tali norme, quale motivo di contrasto con l’ordine pubblico. Risultano non assoggettabili ad arbitrato tutte quelle materie che esorbitano dalla giurisdizione del giudice ordinario (ad esempio, quelle che sono deferite al giudice amministrativo, Cass. sez. unite n. 7643 del 12 luglio 1995) e questioni di natura tributaria (Cass. n. 11630 del 15 ottobre 1999).